martedì 7 ottobre 2008

Il patto con i pazienti L'oncologo propone una legge sul testamento biologico e lancia 10 diritti etici

Corriere della Sera 7.10.08
Il patto con i pazienti L'oncologo propone una legge sul testamento biologico e lancia 10 diritti etici
Veronesi ai malati: i medici devono ubbidirvi
di Mario Pappagallo

MILANO — «I medici facciano un passo indietro, i pazienti uno avanti». Umberto Veronesi ( foto) nel 1973 è stato il fondatore del primo comitato etico in Italia, all'Istituto nazionale dei tumori di Milano, e ora, dopo 35 anni, si rende conto che occorre rilanciare il motto di quel primo comitato: «Tutto è concesso all'uso della scienza per l'uomo, tutto è negato all'uso dell'uomo per la scienza». Due le azioni: il Veronesi senatore ha presentano il primo ottobre un disegno di legge sul consenso informato e le dichiarazioni anticipate di volontà, il Veronesi medico fissa un suo decalogo dei diritti del malato. Lo presenterà il 13 ottobre al Circolo della Stampa di Milano e l'invierà a tutti i comitati etici italiani. Il «patto» con i malati prevede: cure scientificamente valide e sollecite, diritto a una seconda opinione e alla privacy, diritto a conoscere la verità sulla malattia e a essere informato sulle terapie, diritto a rifiutare le cure e ad esprimere le proprie volontà anticipate, diritto a non soffrire, diritto al rispetto, alla dignità. «Mi sono basato — spiega l'oncologo milanese — sui principi fondanti della bioetica che sono l'autonomia e la beneficenza ». Che cosa significa? «Che ognuno ha il diritto di autodeterminarsi nella malattia così come ce l'ha in salute. È il principio di autonomia: spetta al malato decidere che cosa è bene per lui. Questo è il pilastro su cui si basa anche il secondo principio: la beneficenza. Significa che l'atto medico deve essere a puro vantaggio del malato ». Ma non è tautologico? «Sembra, ma non lo è. La bioetica, per esempio, non ammette che un atto medico sia fatto in nome della ricerca scientifica. Ci si deve concentrare su quel malato in quel momento e non ci deve essere la preoccupazione di ciò che sarà in futuro, perché nessun malato mai deve pagare il prezzo della ricerca».
Nel 1970 Von Potter, nel suo
Bioethics: a bridge to the future,
sostiene che l'etica deve ispirarsi alla biologia dell'uomo e si dichiara preoccupato dello sviluppo di tecnologie che alterano gli equilibri dell'esistenza umana... «Esatto — continua Veronesi —. Una tempesta si è abbattuta su questi equilibri con l'introduzione della vita artificiale, cioè quando (a metà del secolo scorso) sono state introdotte nei reparti di rianimazione macchine in grado di mantenere l'ossigenazione del sangue e il battito del cuore, anche a funzioni cerebrali cessate. Nasce così l'incubo della vita artificiale, come esito non voluto dei progressi della tecnologia». E allora che cosa dovrebbe accadere oggi? «Per la bioetica è importante il rispetto delle leggi naturali. Per esempio Eluana, in base alla natura, sarebbe morta 16 anni fa. La vita artificiale è un'infrazione alle leggi naturali. Oltre che alla volontà del paziente, se espressa».
Eluana non ha lasciato una volontà anticipata scritta? «Se ci fosse stata però andava rispettata. Se una persona può decidere in salute e coscienza di rifiutarsi di mangiare o di bere, nessuno può costringerlo con la forza a farlo. E questo per la legge e per il codice deontologico dei medici. Per questo ho presentato un disegno di legge sul testamento biologico. Per questo lancio i 10 diritti del malato e invito medici e cittadini a farli propri».

lunedì 6 ottobre 2008

Bioetica. La polemica tra Roberta de Monticelli e monsignor Giuseppe Betori

Corriere della Sera 6.10.08
Bioetica. La polemica tra Roberta de Monticelli e monsignor Giuseppe Betori
Spetta alla persona decidere sulla sua vita
di Vito Mancuso

Il 1˚ottobre monsignor Giuseppe Betori, segretario uscente della Cei, dichiara che sull'interruzione o meno delle cure «non spetta alla persona decidere». Il giorno dopo la filosofa Roberta de Monticelli scrive sul Foglio che «questa dichiarazione è la più tremenda, la più diabolica negazione dell'esistenza della possibilità stessa di ogni morale», e con ciò sancisce «l'addio a qualunque collaborazione diretta o indiretta con la Chiesa cattolica italiana». Il giorno dopo monsignor Betori replica su Avvenire, distinguendo la libertà di coscienza (che approva) dal principio di autodeterminazione (che deplora). Non riuscendo a cogliere la pertinenza di tale distinzione, io chiedo in che senso la libertà di coscienza sarebbe diversa dalla libertà di autodeterminazione. Che cosa se ne fa un uomo di una coscienza libera a livello teorico, se poi, a livello pratico, non può autodeterminarsi deliberando su se stesso? Di se stessi infatti si tratta quando si parla di testamento biologico, della propria vita e della propria morte, non di quella di altri.
Il fatto è che noi cattolici non abbiamo le idee chiare in materia di libertà di coscienza.
L'abbiamo rivendicata contro l'Impero romano quando eravamo minoranza, poi l'abbiamo negata quando siamo diventati maggioranza, arrivando persino (noi che oggi difendiamo gli embrioni!) a uccidere chissà quante migliaia di eretici solo per il fatto che esercitavano la loro libertà di coscienza. Tale repressione della Chiesa era motivata dalla difesa della verità, oggettivamente superiore alla capacità soggettiva di intenderla. Oggi che i Papi sono paladini della libertà di coscienza, si è forse svenduto il primato della verità? No, si è semplicemente fatto un passo in avanti, capendo che il rapporto dell'uomo con la verità passa necessariamente attraverso la coscienza. Il primato oggettivo della verità permane, ma non è tale da sopprimere la libertà della coscienza, la quale può persino giungere a rifiutare la verità; e immagino che anche monsignor Betori sia contrario a punire con il rogo una tale condotta.
Allo stesso modo questo vale per la vita fisica. L'affermazione del primato della vita come dono non può esercitarsi a scapito di chi, tale dono, non lo riconosce o non lo vuole più. Se è un dono, dono deve rimanere, e non trasformarsi in un giogo. Nel Vangelo è lampante la libertà di cui si gode: i figli se ne possono andare da casa, le pecore allontanarsi dal gregge, persino le monete si possono perdere. Dio rispetta l'autodeterminazione dei singoli. Se così non fosse, non sarebbe la fede ciò che ci lega a lui, ma l'evidenza che non ammette deviazioni. Insomma a me pare che sia molto più evangelica (oltre che molto più moderna) l'identificazione tra libertà di coscienza e principio di autodeterminazione sostenuta da Roberta de Monticelli, che non la loro distinzione sostenuta da monsignor Betori. Ma ho fiducia nello Spirito: come la Chiesa è giunta ad accettare la libertà di coscienza sulla dottrina, così giungerà ad accettare la libertà del soggetto rispetto alla propria (alla propria, non a quella di altri!) vita biologica. Spetta alla persona decidere; non ai medici (che vanno ascoltati), non ai vescovi (che vanno ascoltati), ma alla persona, a ognuno di noi.

giovedì 2 ottobre 2008

Le ultime ore di Welby

Le ultime ore di Welby

L'Unità del 2 ottobre 2008, pag. 1

di Mario Riccio e Gianna Milano

Il testo che riportiamo è tratto da «Storia di una morta opportuna», il diario del medico, Mario Riccio, che ha seguito Welby negli ultimi momenti di vita. Il diario, scritto insieme a Gianna Milano, è pubblicato da Sironi editore e sarà in libreria dal 10 ottobre.

Mercoledì 20 Dicembre

E’ arrivato il giorno scelto da Welby. L’appuntamento al mattino è come sempre alla sede del Partito radicale. Arrivando, avverto una certa tensione. Chiedo a Cappato a che ora andremo da Welby. Non prima di sera, così ha deciso lui: vuole vedere la trasmissione su Rai1 "dei pacchi". (...)



Mantenere la riservatezza si fa difficile: l’Unità scrive che sul caso Welby è giallo, che un anestesista di Cremona, membro della Consulta di Bioetica, è arrivato a Roma per una consulenza.

Guardo la rassegna stampa del mattino: è incredibile l’approssimazione che regna su terminologia e definizioni. Si fa confusione fra eutanasia, sospensione delle cure, testamento di vita, accanimento terapeutico. Mi domando che succederà da domani se le cose andranno come si spera. Forse la confusione non è del tutto casuale e fa gioco a chi non vuole chiarezza su questi temi. Chissà se l’impegno di Welby servirà a sgombrare il campo da tanti equivoci. E io, mi chiedo, contribuirò a cambiare qualcosa rispondendo alla sua richiesta?



Di nuovo mi incontro con Pannella e Cappato, e con i due medici belgi, che Welby ha conosciuto via internet, arrivati in tarda mattinata. Parlano solo francese, che io non parlo, ma capiscono l’inglese. Cappato fa da interprete. Hanno una valigia nella quale, dicono, c’è il necessario per portare a termine un atto eutanasico secondo il protocollo belga. Si mostrano convinti che questo sarebbe il modo giusto di agire, ma a me sembra un atteggiamento un po’ ideologico, che non valuta adeguatamente né la condizione di Welby, né il contesto in cui si trova. Del resto, mi spiegano che se dovessero procedere (in Italia l’eutanasia è contro la legge) non corrono il rischio di estradizione dal Belgio. Non è prevista per questo reato. Perciò non vedono problemi, salvo l’inconveniente che non potranno più venire in Italia. Io, invece, non sono disponibile a essere coinvolto in decisioni che conducano a una eutanasia: sul piano personale, ciò mi esporrebbe a una incriminazione per omicidio volontario e all’immediata sospensione dall’Albo dell’Ordine dei medici, che verosimilmente si trasformerebbe in radiazione. Insomma, perderei il lavoro e rischierei quindici anni di galera. Sul piano pubblico, poi, una scelta eutanasica significherebbe rinnegare quello in cui credo e che voglio affermare: e cioè il diritto di Welby e con lui di tutti i malati - al rifiuto di una terapia per lui intollerabile. L’eutanasia non è l’unica strada percorribile per risolvere una situazione come quella di Piergiorgio: ripeto a Pannella e Cappato che, anzi, sarebbe il fallimento della nostra tesi, ossia che è possibile ottenere la sospensione della terapia anche se salvavita, in un percorso di piena legalità, per un paziente cosciente e in grado di esprimere le sue volontà. Una volta stabilito legalmente questo precedente, sarà possibile compiere il passo successivo, e cioè quello della legge sul testamento biologico: rendere cioè valida la volontà dei singoli rispetto a determinati trattamenti medici, esprimendola anticipatamente da coscienti per il caso in cui non lo si fosse più. La battaglia che abbiamo condotto fin qui poggia su basi ben diverse da quelle eutanasiche. Se ne convincono infine sia Pannella sia Cappato.



I medici belgi invece non capiscono la mia perplessità. Hanno portato il barbiturico da prendere per bocca (un potente sedativo ad azione rapida): la dose è tale da provocare arresto cardiaco e respiratorio, cioè eutanasia. In più hanno il curaro (un farmaco che blocca l’attività muscolare), che potrebbero somministrare con un’iniezione intramuscolare. Sono disorientato. Capisco la preoccupazione che fallisca il mio tentativo di sedare Welby attraverso la vena femorale, ma c’è una netta differenza tra il mio percorso e la loro eutanasia. Ho difficoltà a seguire il dialogo perché devo aspettare che Cappato mi traduca, anche se spesso il senso lo capisco e rispondo in inglese. Loro mi chiedono perché non possono sedare Welby con il barbiturico per bocca dal momento che può deglutire. Rispondo che il tipo di farmaco, e soprattutto la dose, comporterebbero di per sé il reato di omicidio volontario, dato che in Italia l’eutanasia non è prevista nemmeno come reato! Siccome sarà certamente eseguita l’autopsia, il riscontro di una significativa quantità di barbiturico nello stomaco, oltre che nel sangue, anche se non assorbita del tutto, sarebbe la prova di una morte da noi volontariamente e direttamente provocata. A questo punto, dico, se si deciderà di imboccare una strada simile, io dovrò trarne le conseguenze e tornare subito a casa: infatti avevo deciso di venire a Roma spinto da profonda solidarietà, umana e professionale, verso Welby ma anche sulla base di altri principi. Ora temo che venendo meno la battaglia per il diritto al consenso e al rifiuto delle terapie, anche il caso Welby sarà strumentalizzato. Verrebbe preso a riprova che il rifiuto delle terapie non solo non è un diritto perfetto, ma nemmeno un’opzione tecnicamente praticabile; e che l’unica alternativa alla stoica sopportazione di Welby è l’illegale scelta dell’eutanasia.



Insomma, in caso di atto eutanasico, i presenti - non io, che me ne andrei prima, ma i familiari, Cappato e Pannella - correrebbero rischi penali rilevanti; non i medici belgi che tornerebbero a casa loro il giorno dopo. Non so se questi comprendono il mio ragionamento, tanto sono convinti della loro idea, o se fingono. Pannella rompe la tensione che si è creata, dicendo che la decisione finale è di Welby. Se opterà per la soluzione eutanasica, la si praticherà solo dopo che io avrò lasciato Roma con un lasso di tempo sufficiente per tenermi fuori da ogni inchiesta. Ritiene che sarebbe una scelta di tipo politico, ma sulla quale vuole ancora riflettere e di cui intende assumersi in prima persona la responsabilità politica, se e solo se sarà il volere di Welby. Mi sembra di capire che Pannella e Cappato preferirebbero la mia soluzione; dato però che la riuscita dipende dalla mia capacità di reperire la vena femorale, vogliono anche tenere aperta l’opzione belga. La tensione cala. I belgi mi vorrebbero mostrare il contenuto della valigetta, ma dico loro che preferisco di no e che ne rimarrò lontano come il diavolo dall’acqua santa. Anche se, aggiungo scherzando, non so chi sia il diavolo e chi l’acqua santa. Tuttavia avverto il peso della responsabilità: tutto dipende dalla mia abilità nel trovare la vene femorale per la redazione. Mi consolo pensando che Welby ha ben chiara l’importanza di non optare per la soluzione eutanasica: l’ho capito ieri quando ne ho parlato con lui.

(...)

Welby ci aspetta da lui tra le 20.30 e le 21, sempre per via della trasmissione "dei pacchi". Adesso sono quasi le 19. Tutti liberi per un’ora, poi appuntamento qui in sede. Decido di concedermi una passeggiata, anche se sento di essere molto stanco. Mentre cammino tra la folla delle compere natalizie, ritorna quella sensazione di estraneità: come se la mia fosse una presenza furtiva. Tuttavia sono convinto che aiutare Welby aiuterà anche la coscienza civile e sociale di questo Paese che sembra bloccato, irrigidito. Un Paese dove i temi "eticamente sensibili" sono più che altro nervi scoperti, che creano inesorabilmente fronti opposti: laico e religioso. Difficile riuscire a trovare quei valori condivisi di cui leggo nei testi di bioetica di Engelhardt, che è medico, filosofo e credente. (...)



Arriviamo rapidamente ed entriamo senza problemi. Mio zio mi messaggia che Veronesi ha dichiarato che un medico coscienzioso farebbe quello che Welby chiede. Penso che da adesso devo concentrarmi solo su quello che so che devo e voglio fare. Il tempo della riflessione è finito. Ora è il tempo dell’azione. (...)



In casa il clima è il solito: tranquillo e cordiale. Come l’altro giorno siamo accolti da Mina con un sereno saluto. Cappato e Pannella entrano subito nella camera di Welby. Io rimango un po’ a parlare con Mina e Carla. Non si accenna a quello che deve succedere stasera, ma si chiacchiera d’altro. Mi chiedono se c’erano giornalisti sotto casa. Rispondo di no e penso che almeno questa preoccupazione è superata. Ormai sono dentro casa, di certo i giornalisti non potranno entrare con la forza. Mi fermo un attimo a riflettere e mi dico che non mi sto concentrando abbastanza. Ora basta parlare.



Controllo tutto il materiale necessario che peraltro avevo già controllato lunedì. Penso: se stai ricontrollando vuol dire che sei nervoso. Se sei nervoso non riuscirai a prendere questa benedetta femorale. Non è vero, l’importante è non farsi prendere dalla paura di cose non ancora successe. Non voglio fare profezie che poi si avverano. Ho tutto quello che serve.



Entro da Welby. Lo saluto, mi saluta. Gli chiedo se il parere del Css o altro ha cambiato qualcosa nella sua determinazione. La risposta è negativa. Gli domando se intanto posso iniziare a inserire la cannula nella vena femorale, come eravamo d’accordo. Inizio con l’anestesia locale. Sono contento perché vedo che non gli ho fatto male. Gli spiego che devo aspettare qualche minuto perché faccia effetto. Annuisce.



Mi preparo per l’operazione. Metto i guanti, stendo un telo sterile, preparo il catetere. Il letto è molto basso, tanto che devo mettermi in ginocchio, e sulla destra, da dove intendo lavorare, non c’è molto spazio tra letto e parete. Nella stanza con me c’è solo Mina che mi aiuta e mi porge quello che le chiedo. Ho già preparato la flebo con il deflussore. (...) Chiedo a Welby se è pronto e se posso iniziare a sedarlo. Avevamo già concordato lunedì che l’inizio della sedazione coincidesse con il distacco dal ventilatore. Né prima né dopo. In modo che potesse stare il più possibile con i familiari e gli amici ma non dovesse avvertire da cosciente la fase dell’arresto respiratorio. Lo avevo già rassicurato che l’induzione completa della sedazione sarebbe durata non più di 90-120 secondi e che la sua autonomia dal respiratore senza affanno era superiore a questo tempo. Sapevo che con la moglie Mina aveva già fatto alcune prove di breve durata: avevano staccato il respiratore per vedere quanto in fretta scendessero i valori. In 10-15 minuti calavano rapidamente e lui andava in affanno. Sedandolo, gli avrei ridotto l’affanno e quindi allungato i tempi; avrebbe potuto chiudere gli occhi guardando le persone a lui care e mantenendo una espirazione residua in modo non doloroso.Lui chiede di iniziare e io parto con il primo sedativo (mmidazolam) e con la infusione del secondo (propofol), una dose sola in siringa che poi utilizzerò per mantenere la sedazione. Quando comincio avverto Welby, e lui lo vede. Come gli ho spiegato entro pochi secondi gli verrà sonno. Lui risponde annuendo. Lo saluto: «Ciao, Piergiorgio, ora riposerai». Guarda con gli occhi verso l’alto. Da questo momento non dirò più niente, come se lo lasciassi solo con i suoi familiari.

Testamento biologico

Testamento biologico
Il Manifesto del 2 ottobre 2008, pag. 4

Sul testamento biologico l’obiettivo principale è fare presto. Lo ha detto chiaramente il relatore Raffaele Calabrò (Pdl) avviando ieri l’esame dei sei ddl depositati in Commissione Igiene e sanità dei Senato, ai quali si è aggiunto anche il progetto di Umberto Veronesi (Pd). Per velocizzare i tempi si «lavorerà per accorpare le proposte e formare una sottocommissione». Una fretta che ha messo in allarme molti esponenti dell’opposizione, ma anche qualcuno dei Pdl, sul rischio di arrivare ad una legge che violi l’articolo 32 della Costituzione (libertà. di rifiutare le terapie). Preoccupazione condivisa dalla Consulta di bioetica che ha chiesto di includere tra i trattamenti anche idratazione e nutrizione artificiali. Mentre la senatrice radicale Donatella Poretti ha proposto che le sedute della Commissione «siano tutte pubbliche». Intanto, si è stabilito che nel frattempo la Camera sii occuperà della complementare legge sulle terapie palliatine, incluse quelle antidolore.

Ma quale libero dibattito Senato succube della Cei

Ma quale libero dibattito Senato succube della Cei
Liberazione del 2 ottobre 2008, pag. 1

di Maurizio Mori
Sarà senza dubbio una pura coincidenza, una di quelle frutto del cieco caso e ben lontana da ogni disegno precostituito o "provvidenziale", ma la Commissione del Senato ha aspettato il comunicato finale della Cei prima di cominciare i lavori. Anzi, i lavori iniziano all'indomani, in segno di deferente rispetto all'autorevole pronunciamento… Diamine! Che volete che ne sappiano i nostri Senatori sui temi eticamente sensibili? Mica possono decidere con la loro testa! Sono cose gravi e delicate, e bisogna ascoltare quelli che più ne sanno: e così si è atteso il comunicato finale della Conferenza episcopale Italiana che ha ben chiarito la posizione della chiesa cattolica romana al riguardo. Poi, naturalmente, i senatori saranno liberi di scegliere, ma adesso agli italiani è chiara la differenza tra l'errore e la verità!
E se qualcuno dovesse deviare da quanto stabilito dalla Cei, ovviamente sarà il solito laicista, individualista, nichilista, cavaliere della "cultura della morte", e via dicendo con tanti bei complimenti.
A parte gli scherzi, vedremo che piega prenderanno i lavori parlamentari. Per adesso sul piano culturale il comunicato finale della Cei è interessante perché offre l'interpretazione autentica delle parole pronunciate dal cardinale Bagnasco nella prolusione di apertura, precisando senza incertezze la posizione della chiesa cattolica romana: la legge non deve riguardare il «testamento biologico, espressione di una cultura dell'autodeterminazione», perché questo sarebbe legittimare la sovranità della persona circa le scelte sulla fine della vita (e quindi anche sul proprio corpo). È invece fattibile una legge sulla fine della vita, che avrebbe due funzioni: 1) bloccare subito le sentenze dei giudici che, in ossequio alla Costituzione repubblicana, mostrano aperture all'autodeterminazione; 2) fare in modo che «non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico, e sia invece esaltato ancora una volta quel favor vitae che a partire dalla Costituzione contraddistingue l'ordinamento italiano».
Si potrebbe osservare che le affermazioni non si limitano all'ambito morale, ma entrano nel vivo di questioni giuridiche ben precise, sollevando un problema di "competenza", ma queste considerazioni sono ormai di tempi passati e lontani, quando il senso delle istituzioni statali era più marcato. Oggi viviamo nella "società liquida" in cui i vescovi discettano di diritto e avanzano la pretesa di essere gli interpreti della Costituzione italiana, ed è vano ricordare che, forse, il loro compito dovrebbe limitarsi ad altri campi. Prendo atto dei tempi, e considero il punto di fondo sotteso al loro discorso che è contro l'autodeterminazione circa la propria vita biologica.
Dicendo che va esaltato il favor vitae e che vanno «evitate forme mascherate di eutanasia», i vescovi vengono a rimettere in discussione lo stesso consenso informato del paziente stesso. Infatti, la nozione di eutanasia è oggi abbastanza chiara: è l'atto con cui si causa la morte di un paziente che è in una situazione infernale e che ha chiesto di essere esentato dal permanere in tale condizione. In parole povere è dare un'iniezione che ponga fine alle sofferenze di un paziente senza scampo che aveva chiesto di essere risparmiato da tale scempio. Fin qui, si potrà condividere o no, ma il discorso è chiaro.
Ma quali sono le forme di eutanasia mascherata o di abbandono terapeutico? Questo lo sanno solo i vescovi e chi segue le loro direttive. Ci troviamo di fronte a belle espressioni che non hanno un significato preciso, la cui interpretazione più accreditata è quella che rimanda alla esaltazione del favor vitae , ossia dell'idea che i dinamismi vitali vanno sempre rispettati e favoriti come chiede l'etica della sacralità della vita. In altre parole, ci si chiede di accettare "a scatola chiusa" l'antica idea dell'ippocratismo secondo cui è il medico che conosce il bene del paziente, perché il medico conosce i dinamismi vitali che sono di per sé sempre buoni. La volontà del paziente non c'entra nulla, a meno che sia conforme con questo indirizzo - perché altrimenti si ha qualche forma di eutanasia mascherata o di abbandono terapeutico.
C'è una profonda coerenza in quest'impostazione. Per la chiesa cattolica romana il cittadino è libero e sovrano di decidere solo nei limiti stabiliti dal diritto naturale, che stabilisce i binari entro cui si esercita l'"autentica libertà". Ove pretendesse di uscire da quei binari trasformerebbe la libertà in licenza, facendo qualcosa di simile ad un treno che pretendesse di uscire dalle rotaie. Questo vale già nel campo politico e familiare, ed a maggior ragione in quello circa la propria vita. Il punto importante da capire è il seguente: il testamento biologico non è altro che uno strumento con cui estendere il consenso informato a situazioni in cui il cittadino non è più in grado di esprimere direttamente le proprie volontà. Ci vuole una buona legge che regoli i numerosi dettagli pratici richiesti dall'esercizio di questo diritto. Rifiutando il testamento biologico, la Cei viene a rimettere in discussione lo stesso consenso informato e in generale il diritto del cittadino di rifiutare le cure (forma di abbandono terapeutico), per riaffermare il vitalismo ippocratico.
Se così fosse sarebbe disastroso, e riporterebbe l'Italia indietro di 30 anni. Ma questa sembra essere la strada imboccata dalla Cei, che sfrutta la grande confusione teorica presente nel paese. Speriamo che l'operazione non riesca, e che il buon senso dei cittadini prevalga. La situazione, però, è difficile perché la nuova coscienza civile trova scarsa rappresentanza sul piano politico.

NOTE

Presidente della Consulta di Bioetica, Università di Torino

Più vita ai nostri giorni e non più giorni alla vita

Più vita ai nostri giorni e non più giorni alla vita

Liberazione del 2 ottobre 2008, pag. 1

di Maria Antonietta Farina Coscioni
Non posso nascondere la mia preoccupazione e inquietudine, a proposito della legge sul testamento biologico, per posizioni e opinioni che vedo manifestarsi anche in questa legislatura, come se non bastassero quelle della passata. Parlo di preoccupazione e di inquietudine perché è minacciato quello che considero un caposaldo: la rigorosa difesa della volontà della persona, del malato, il suo inalienabile, costituzionalmente garantito, diritto alla libertà di scelta.
Dunque una cosa è certa: al Paese serve solo una buona legge sul testamento biologico. Solo questo può fare la differenza rispetto alla situazione attuale.
cardinale Bagnasco, all'inizio dei lavori della Conferenza episcopale italiana, un'apertura. A me, al contrario, è subito sembrato un arroccamento sulle posizioni di sempre. La conferma che ho visto giusto, che non c'è alcuna apertura o segnale importante, è venuta da monsignor Sgreccia prima; da monsignor Fisichella e dal cardinale Ruini poi; e infine dal quotidiano dei vescovi, l'Avvenire .
Questi ultimi e molti esponenti della maggioranza a ruota hanno cura di specificare che la legge non deve contemplare «alcunché sul piano dell'alimentazione e dell'idratazione». Il Parlamento viene sollecitato a varare «una legge sul fine vita che riconoscendo il valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita, dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell'ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito, fuori dalle gabbie burocratiche, di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza».
In sostanza si cerca di realizzare quanto concertato nei giorni del meeting riminese di Comunione e Liberazione, dallo stesso Bagnasco con alcuni parlamentari di Cl: approvare una legge prima che la Corte Costituzionale si pronunci sul caso di Eluana Englaro, seguire la stessa strategia seguita per l'approvazione della legge sulla fecondazione assistita, mortificare le presenze laiche sia nella maggioranza che nell'opposizione.
C'è chi teme che il paese si spacchi in due. In realtà l'unica spaccatura è quella tra il "sentire" comune del paese e chi è chiamato a rappresentarlo. Un sondaggio di luglio della Swg rivela che l'81% degli interpellati è favorevole alla richiesta di interruzione delle cure, quando si presentano casi come quelli di Eluana. Questo è il paese reale, che marcia e cammina mentre noi, che lo dovremmo rappresentare, arranchiamo.
Casi come quelli di Coscioni, di Welby e di Nuvoli, si sono imposti alla politica per avere risposte chiare e certe dalla stessa. Hanno lottato per la vita con tutte le forze per sopravvenire alla malattia, utilizzando - e ci si dimentica di questo - tutti gli strumenti possibili ma che non sono a disposizione di tutti, dalla comunicazione alternativa come quella della scrittura con gli occhi, con la testa che faceva muovere un mouse virtuale, all'assistenza domiciliare integrata per i trattamenti fisioterapici non previsti in modo continuativo nel nostro sistema sanitario nazionale perché servono solo per evitare le piaghe da decubito. Luca Coscioni per questa ragione denunciò per «prestazioni sanitarie negate», la Asl di Orvieto.
Questo richiamo dovrebbe bastare a smontare le ingiuste, infondate e false insinuazioni di chi vuole usare i nomi di Coscioni, Welby, Nuvoli e oggi Englaro quali testimoni di una cultura della morte.
E' un punto fondamentale della proposta di legge che mi vede prima firmataria: la volontà della persona deve essere rispettata. Anche se fosse scientificamente provata l'esistenza di una "speranza" per Eluana, sarebbe doveroso rispettare la sua volontà. Ci sono persone che non vogliono pronunciarsi sulla loro morte, né scegliere in alcun modo, altre che non accettano di vivere in coma vegetativo. Penso che si debba prevedere la possibilità di scegliere tra le due opzioni. Non un obbligo, piuttosto una facoltà.
Questo ed altro porterò nel Comitato - di cui faccio parte - dei 6 parlamentari del Pd che proverà a formulare una posizione condivisa sul testamento biologico.
La battaglia da combattere è, da una parte, quella per la libertà della ricerca scientifica, dall'altra una battaglia per affermare i diritti umani fondamentali, fra i quali il diritto alla vita, il diritto alla salute, il diritto ad una vita dignitosa fino all'ultimo istante che ciascuno considera degno di essere vissuto, scegliere di vivere senza sentirsi dire che tu questo o quello non lo puoi fare.
Al di là delle opinioni che possiamo avere sull'argomento, dovremmo trovarci uniti nel chiedere un'adeguata copertura informativa, soprattutto da parte del servizio pubblico radio-televisivo. E' tempo che su questi temi si parli e ci si confronti alla luce del sole e che le varie posizioni siano conosciute per poter essere apprezzate dalla pubblica opinione.

NOTE

Co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni - Deputata radicale eletta nelle liste del Pd

mercoledì 1 ottobre 2008

Testamento biologico Un’ altra legge 40?

Testamento biologico Un’ altra legge 40?

Manifesto del 1 ottobre 2008, pag. 5

di Eleonora Martini

Alimentazione e idratazione forzate, e obiezione di coscienza. Il dibattito attorno alla legge sul testamento biologico è più o meno fermo su questi due punti almeno da due anni. E da qui riprenderà oggi in commissione Igiene e Sanità del Senato con l’avvio dell’esame dei sei disegni di legge depositati, quattro dell’opposizione e due del Pdl. Solo che attualmente - con il caso di Eluana Englaro che rischia di essere risolto dalla magistratura e che provoca attacchi di panico tra i cattolici teodem e le gerarchie vaticane - quasi tutti nel centrodestra e nel centrosinistra hanno fretta di arrivare a una legge. Anche il Pd. Che lo aveva promesso quando era al governo e lo ha ribadito all’inizio di agosto facendo passare in Senato un ordine del giorno che impegna il Parlamento a legiferare entro il 2008. Il rischio però, nemmeno troppo remoto, è di fare il bis del disastro ottenuto con la legge 40, quella sulla fecondazione artificiale. Di arrivare cioè a nonne liberticide che sono peggio di niente. I più preoccupati sono i parlamentari radicali che pure non si sono sottratti ad un confronto coni colleghi del Pd, e in ultima analisi appoggerebbero anche il più sottoscritto dei ddl approdati in Commissione Sanità, quello dell’ex presidente Ignazio Marino (101 firmatari), anche se ne esiste uno a fuma di Donatella Poretti e Marco Perduca. Gli altri quattro ddl all’esame della Commissione sanità e affidati al relatore Raffaele Calabrò (Pdl), sono quelli firmati per primi da Tomassini (Pdl), Baio Dossi (Pd), Musi (Pd e Idv) e Massidda (Pd)).



Che tiri una brutta aria lo si è capito ulteriormente ieri quando, dopo Fisichella, Ruini e Bagnasco, anche il segretario generale della Cei Giuseppe Betori ha ribadito i desiderata vaticani. 11 primo, sempre valido, è quello di non considerare l’alimentazione e l’idratazione forzata come terapie mediche - quindi rifiutabili - ma come cura del malato e quindi esenti dalle direttive anticipate di fine vita. E l’ultimo, in ordine di stretta attualità, è il rifiuto del «principio di autodeterminazione del paziente». «Questa - ha spiegato Beton - è una visione che va contro le radici cristiane della nostra cultura». Occorre sì, e subito, una legge sul fine vita, precisa l’arcivescovo confermando l’apertura del presidente Angelo Bagnasco, anche perché «la sentenza della Cassazione sul caso di Eluana ha dimostrato che l’assenza di legislazione non significa protezione delle persone deboli e ha messo in evidenza che che c’è qualcosa che va difeso». Ma «preferiamo non parlare di testamento biologico perché la vita non è a disposizione di nessuno, nemmeno di se stessi. Il problema - conclude il segretario Cei - è proteggere la vita e rendere degno il momento della fine della nostra esistenza».



Betori, che parla anche a nome del Consiglio episcopale permanente riunitosi ad hoc nei giorni scorsi, è ancora più esplicito: il medico deve confrontarsi con la dichiarazione legalmente riconosciuta del paziente ma alla fine sarà lui soltanto a decidere, «senza cedere né verso l’eutanasia né verso l’accanimento terapeutico». Una posizione, questa, già anticipata domenica dal sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella in un dibattito con Mina Welby e Beppino Englaro tenutosi nell’ambito del «Festival della salute» di Viareggio. «La libertà del medico deve essere garantita, aveva sottolineato Roccella spiegando bene anche che «la dichiarazione anticipata di trattamento deve essere scritta e autenticata» perché la volontà del paziente «non si può ricostruire sulla base di testimonianze o addirittura sugli stili di vita», come dice la sentenza di Milano che riconosce il diritto di morire a Eluana Englaro.



«Dire no all’autodeterminazione dell’individuo, o sostenere che il medico ha l’ultima parola significa invalidare la volontà del paziente espressa con le direttive anticipate, allora è inutile legiferare». A pensarla così sono in tanti e non solo nelle fila dell’opposizione. Ad affermarlo a chiare lettere sono le radicali Maria Antonietta Farina Coscioni, Mina Welby e Donatella Poretti, ma anche il senatore Antonio Paravia del Pdl che, oltre ad aver firmato il ddl Marino ha anche affidato all’Aula il suo testamento biologico. «Credo nell’autodeterminazione totale del paziente - afferma Paravia - e a pensarla come me sono in tanti dentro al Pd] anche se su materie delicate come queste credo non possano esserci posizioni di partito, ma vanno rispettate la propria e l’altrui coscienza».



Tra i 6 ddl che verranno analizzati da oggi in Commissione ci sono poche differenze ma sostanziali. Tomassini, Baio Dossi e Massidda specificano che l’alimentazione e l’idratazione forzata non sono terapie rifiutabili, esattamente all’opposto di quanto scritto da Poretti e Perduca nel loro ddl, mentre la proposta di Ignazio Marino sorvola sul punto ma insiste sulla promozione delle cure palliative. Le bozze del Pdl invece mettono nero su bianco che «non è richiesto il consenso al trattamento sanitario quando la vita della persona incapace sia in pericolo di vita e il suo consenso o dissenso non possa essere ottenuto e la sua integrità fisica sia minacciata». «È un modo di invalidare la volontà della persona e preparare una legge piena di paletti, liberticida, una nuova legge 40 - insiste Poretti - e la cosa più subdola è che si tenta di spacciare una politica prona alle imposizioni vaticane e incurante delle opinioni dei cittadini come il diritto all’obiezione di coscienza da garantire ai medici. Nessun vero libertario si opporrebbe alla libertà di coscienza ma in questo caso cosa vuol dire? Solo che il medico è libero di imporre un trattamento sanitario a chi lo rifiuta».