martedì 13 luglio 2010

INT. A IGNAZIO MARINO - "ITALIA, FANALINO DI CODA NELLA LIBERTÀ DI SCELTA DELLE COPPIE

INT. A IGNAZIO MARINO - "ITALIA, FANALINO DI CODA NELLA LIBERTÀ DI SCELTA DELLE COPPIE

'La Stampa' del 7 luglio 2010

Flavia Amabile

Anche in Germania si potranno fare test genetici sugli embrioni. E quindi in caso di malattie genetiche dei feto non procedere all`impianto. Ignazio Marino, senatore Pd, medico, cattolico, componente della commissione Sanità, e in Italia? «In Italia ci sono state due sentenze simili nel 2007 ma da noi non fanno giurisprudenza, e quindi abbiamo una legge scritta senza tener conto della conoscenza scientifica e degli specialisti che eseguono la fecondazione assistita al punto da essere arrivati ad una situazione drammatica».
Quale? «Impedire di eseguire la diagnosi prima dell`applicazione dell`embrione e poi eventualmente lasciare la possibilità di interrompere la gravidanza attraverso la 194. Vuol dire creare una situazione di stress incredibile per una donna che si è già sottoposta a terapie ormonali intensive dover anche ricorrere nel caso in cui il feto sia malformato ad un`interruzione di gravidanza».
Gli italiani sono i primi in Europa per i viaggi all`estero per la procreazione assistita. Ora che anche in Germania i test genetici sugli embrioni sono possibili aumenteranno le fughe? «Certo, è di sicuro una possibilità in più, anche se penso che in Spagna sono davvero ben organizzati, hanno anche personale italiano che in una situazione così delicata come quella della fecondazione rappresenta un grande conforto».
Resta il fatto che si rischia di non far nascere anche feti con patologie non estremamente gravi come la sindrome di Down, per esempio. «La legge non deve mai contenere principi etici ma lasciare alle persone la libertà di utilizzare o no i mezzi che la scienza e la tecnica mettono a disposizione per diagnosticare una malattia».

domenica 11 luglio 2010

Germania: non è reato scegliere embrioni sani Lo ha deciso la Cassazione

l’Unità 10.7.10
Germania: non è reato scegliere embrioni sani Lo ha deciso la Cassazione
Due settimane fa la sentenza sull’eutanasia passiva che tanto scalpore ha suscitato. Ed ora la Corte di Cassazione tedesca torna a stupire con un nuovo pronunciamento destinato ad innescare polemiche.
di Gherardo Ugolini

La diagnosi preimpianto, ovvero l’analisi degli embrioni in provetta prima che vengano impiantati nell’utero, per verificare la presenza o meno di malattie genetiche, non costituisce un reato, neanche se il medico decidesse, sulla scorta dei risultati del test, di utilizzare solamente gli embrioni sani scartando quelli malati. Tale diagnosi consente di ridurre il numero degli aborti di bambini con gravi handicap o malformazioni, hanno spiegato i giudici del tribunale di Lipsia.
Il pronunciamento della Cassazione non significa affatto la possibilità di selezionare in misura illimitata gli embrioni in base alle caratteristiche genetiche. Opzioni come quella relativa al colore degli occhi o dei capelli, come anche per determinare il sesso, rimangono pur sempre vietate. Nessuna coppia in Germania avrà ora la possibilità di programmare un «bambino su misura». Tuttavia la sentenza incide profondamente nell’ordinamento in vigore, visto che una legge del 1991 vieta espressamente di distruggere gli embrioni. Ora sarà il Bundestag a dover intervenire per approvare una nuova legge possibilmente in armonia con la deliberazione dei giudici. La Germania si allinea così a Paesi quali Francia e Spagna in cui la procedura della diagnosi preimpianto è consentita pur con determinati limiti. In Italia invece la legge sulla procreazione assistita vieta radicalmente esami di questo tipo.
UN MEDICO APRE IL CASO
A rivolgersi al tribunale era stato un ginecologo di Berlino il quale si era avvalso della diagnostica preimpianto per tre coppie di genitori con malattie ereditarie sottoponendo gli embrioni a test genetici per poi impiantare solo quelli sani distruggendo quelli recanti anomalie. Incerto sulla correttezza giuridica del suo operato, il medico si era autodenunciato alla giustizia sollecitando un pronunciamento. Un tribunale della capitale tedesca in prima istanza lo aveva assolto, ma la Procura di Berlino aveva presentato ricorso. Ora è arrivata l’assoluzione definitiva della Cassazione.
Come era facile prevedere l’opinione pubblica ha reagito in modo differenziato. Da un lato c’è la presa di posizione dell’Ordine dei medici che si dice lieto del fatto che siano stati posti dei paletti giuridici espliciti e univoci sul tema scottante della selezione degli embrioni. Dall’altro la Conferenza episcopale ha ribadito il punto di vista cattolico per cui «l’uccisione degli embrioni non può essere tollerata in nessun caso, anche di quelli che dopo un esame sui danni genetici non devono più essere reinseriti nell’utero». Per i vescovi della Germania «ammettere la diagnostica preimpianto presuppone che all’embrione non venga riconosciuto alcuno stato equivalente a quello della persona nata». Anche le forze politiche sono spaccate sul tema: diversi leader della Cdu come per esempio la vice-capogruppo parlamentare Ingrid Fischbach, hanno contestato aspramente la sentenza sostenendo che «così si apre la strada ad una selezione tra forme di vita degne e indegne». Socialdemocratici, Verdi e Liberali sono invece propensi a varare rapidamente una legge quadro che accolga il giudizio della Cassazione.


giovedì 1 luglio 2010

La Germania e le scelte di fine vita. La bioetica e il resto dell’Europa

l’Unità 1.7.10
La Germania e le scelte di fine vita. La bioetica e il resto dell’Europa
di Maurizio Mori

Ormai l’idea che alla fine della vita gli interessati debbano scegliere sulla propria sorte è un fiume in piena che travolgerà le resistenze dei più accaniti vitalisti. A metà febbraio è stata l’Inghilterra a cambiare le regole sul morire, e lo ha fatto con un semplice atto amministrativo: il direttore generali delle indagini penali si è limitato a dire che la nuova normativa senza aprire all’eutanasia (attiva) mette al centro di eventuali indagini la motivazione della persona sospettata invece che le modalità della morte. In altre parole, si vuole evitare che la morte di chicchessia sia indotta per malvagità o per qualche motivo oscuro (“darker motive”) contro la volontà dell’interessato, più che il semplice fatto che sia “indotta” o no. Anche se da noi, in Italia, la notizia non ebbe grande rilievo, la realtà è che in Inghilterra il suicidio assistito volontario non è più reato.
Ora è la volta della Germania, visto che il 25 giugno la Corte federale di giustizia ha assolto i protagonisti della sospensione di nutrizione e idratazione artificiali di una donna che aveva espresso la volontà di non esservi sottoposta. In pratica il riconoscimento pieno del diritto di sospendere qualsiasi trattamento, nutrizione inclusa. Non si tratta affatto di eutanasia, ossia di atto teso a provocare la morte, né si è nella situazione di limbo dell’Inghilterra in cui ci si limita a controllare l’assenza di motivi oscuri. Ma se si considera che la Germania sul tema del fine vita ha un nervo scoperto, la sentenza è un importante passo in avanti che opera chiarezza. Si colloca in linea con quanto stabilito anche dalla nostra magistratura nei casi Welby ed Englaro.
In sé, quindi, nulla di straordinario. Solo un chiarimento dovuto che, come affermato dal ministro della Giustizia, «crea certezza legale», anche perché le volontà anticipate costituiscono una garanzia per pazienti e medici. Eppure, Avvenire ha presentato la notizia con sdegno: «Berlino “apre” all’eutanasia» quasi fosse una sbandata improvvisa e imprevista. Da una parte fa tenerezza l’impegno e l’insistenza posti dai cattolici nel cercare di far credere che il “male” abiti solo all’estero da cui arrivano le notizie choc. Dall’altra fa rabbia sentire il sottosegretario signora Roccella ripetere che la legge liberticida sul fine vita in discussione in Parlamento è necessaria e urgente perché la nostra magistratura non è stata prudente e perché si moltiplicano i registri comunali dei testamenti biologici. Credono davvero Roccella e i suoi amici cattolici che una legge basti a isolare il Paese dal resto dell’Europa come è stato al tempo della controriforma?
Maurizio Mori è presidente della Consulta di Bioetica onlus e docente all’Università di Torino.