giovedì 1 luglio 2010

La Germania e le scelte di fine vita. La bioetica e il resto dell’Europa

l’Unità 1.7.10
La Germania e le scelte di fine vita. La bioetica e il resto dell’Europa
di Maurizio Mori

Ormai l’idea che alla fine della vita gli interessati debbano scegliere sulla propria sorte è un fiume in piena che travolgerà le resistenze dei più accaniti vitalisti. A metà febbraio è stata l’Inghilterra a cambiare le regole sul morire, e lo ha fatto con un semplice atto amministrativo: il direttore generali delle indagini penali si è limitato a dire che la nuova normativa senza aprire all’eutanasia (attiva) mette al centro di eventuali indagini la motivazione della persona sospettata invece che le modalità della morte. In altre parole, si vuole evitare che la morte di chicchessia sia indotta per malvagità o per qualche motivo oscuro (“darker motive”) contro la volontà dell’interessato, più che il semplice fatto che sia “indotta” o no. Anche se da noi, in Italia, la notizia non ebbe grande rilievo, la realtà è che in Inghilterra il suicidio assistito volontario non è più reato.
Ora è la volta della Germania, visto che il 25 giugno la Corte federale di giustizia ha assolto i protagonisti della sospensione di nutrizione e idratazione artificiali di una donna che aveva espresso la volontà di non esservi sottoposta. In pratica il riconoscimento pieno del diritto di sospendere qualsiasi trattamento, nutrizione inclusa. Non si tratta affatto di eutanasia, ossia di atto teso a provocare la morte, né si è nella situazione di limbo dell’Inghilterra in cui ci si limita a controllare l’assenza di motivi oscuri. Ma se si considera che la Germania sul tema del fine vita ha un nervo scoperto, la sentenza è un importante passo in avanti che opera chiarezza. Si colloca in linea con quanto stabilito anche dalla nostra magistratura nei casi Welby ed Englaro.
In sé, quindi, nulla di straordinario. Solo un chiarimento dovuto che, come affermato dal ministro della Giustizia, «crea certezza legale», anche perché le volontà anticipate costituiscono una garanzia per pazienti e medici. Eppure, Avvenire ha presentato la notizia con sdegno: «Berlino “apre” all’eutanasia» quasi fosse una sbandata improvvisa e imprevista. Da una parte fa tenerezza l’impegno e l’insistenza posti dai cattolici nel cercare di far credere che il “male” abiti solo all’estero da cui arrivano le notizie choc. Dall’altra fa rabbia sentire il sottosegretario signora Roccella ripetere che la legge liberticida sul fine vita in discussione in Parlamento è necessaria e urgente perché la nostra magistratura non è stata prudente e perché si moltiplicano i registri comunali dei testamenti biologici. Credono davvero Roccella e i suoi amici cattolici che una legge basti a isolare il Paese dal resto dell’Europa come è stato al tempo della controriforma?
Maurizio Mori è presidente della Consulta di Bioetica onlus e docente all’Università di Torino.

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