martedì 14 febbraio 2012

Francia, svolta di Hollande “L’eutanasia è un diritto”

La Stampa 7.2.12
Francia, svolta di Hollande “L’eutanasia è un diritto”
Il candidato socialista all’Eliseo mette il fine vita nel programma
di Alberto Mattioli

Proporrò che ogni persona maggiorenne in fase avanzata o terminale di una malattia incurabile che provochi una sofferenza fisica o psicologica insopportabile e che non possa essere calmata, possa domandare, in condizioni precise e ristrette, di beneficiare di un’assistenza medica per terminare la sua vita con dignità». È una delle sessanta proposte del programma presidenziale di François Hollande, candidato socialista all’Eliseo e, stando ai sondaggi, grande favorito per diventarne l’inquilino. Ed è una nuova tappa verso la legalizzazione dell’eutanasia: «Per la prima volta dice a Le Monde il presidente dell’Associazione per il diritto a morire con dignità, Jean-Luc Romero -, la proposta è stata davvero ufficializzata da parte di un candidato alla Presidenza». Nel caso di vittoria di Hollande, e in quello che la proposta diventi legge, in materia di eutanasia la Francia passerebbe dall’attuale regime dell’«aiuto passivo» a quello dell’«aiuto attivo». La legge in vigore risale al 2005 e porta il nome di Jean Leonetti, cardiologo, sindaco di Antibes, deputato di destra ed esperto di questi temi per l’Ump, il partito di Nicolas Sarkozy, benché attualmente, per i soliti giri dell’oca politici, si occupi di tutt’altro come ministro per gli Affari europei. La legge Leonetti ha introdotto in Francia il principio del «lasciar morire»: si rifiuta l’accanimento terapeutico su un paziente senza speranza cui, dopo l’interruzione delle cure, ci si limita a somministrare dei sedativi. La proposta socialista introdurrebbe invece il principio dell’«aiuto attivo» sul malato, attraverso appunto un gesto del medico, come un’iniezione letale, che lo porti a spegnersi rapidamente e senza dolore. Pratica che è già stata legalizzata in Olanda, Belgio e Lussemburgo. Secondo i socialisti, la legge Leonetti è «ipocrita» e l’opinione pubblica «matura» per una svolta. In effetti, un recente sondaggio ha dato una risposta netta. Alla domanda se la legge debba autorizzare i medici a mettere fine senza sofferenze alla vita dei malati incurabili che l’abbiano chiesto, il 49% degli intervistati ha risposto «sì, assolutamente» e il 45 «sì, in certi casi». Totale: 94% di favorevoli, in crescita rispetto all’88 che, nel 2001, diede la stessa risposta alla stessa domanda. La proposta è interessante anche politicamente, perché porta nella campagna elettorale i temi etici, finora rimasti in ombra, anzi quasi ignorati, di fronte all’emergenza economica. Dieci anni fa, Lionel Jospin, ultimo premier socialista (in coabitazione con Jacques Chirac) e candidato battuto già al primo turno alle presidenziali, rifiutò di inserire l’eutanasia nel suo programma. Curiosamente, una delle vicende che hanno appassionato e diviso l’opinione pubblica è stata proprio quella di sua madre, Mireille, attivista dell’Associazione di monsieur Romero, e che finì per suicidarsi. Già nel 2009 i socialisti avevano proposto una legge all’Assemblée nationale, in seguito respinta. Il firmatario era Manuel Valls, poi candidato alle primarie contro Hollande e oggi suo portavoce. Però «si tratta di riconoscere un diritto, non d’imporre una pratica sfuma Marisol Touraine, responsabile delle questioni sociali nella squadra di Hollande -. Ciascuno, secondo le sue convinzioni, potrà avvalersene oppure no. Quelli che lo faranno saranno probabilmente estremamente minoritari». E bisognerà pure prevedere la possibilità dell’obiezione di coscienza per i medici, come succede per l’aborto. Anche per questo, la definizione concreta di modalità e limiti dell’eutanasia alla francese è rimandata a dopo le elezioni. Proporrò che ogni persona maggiorenne in fase avanzata o terminale di una malattia incurabile che provochi una sofferenza fisica o psicologica insopportabile e che non possa essere calmata, possa domandare, in condizioni precise e ristrette, di beneficiare di un’assistenza medica per terminare la sua vita con dignità».
È una delle sessanta proposte del programma presidenziale di François Hollande, candidato socialista all’Eliseo e, stando ai sondaggi, grande favorito per diventarne l’inquilino. Ed è una nuova tappa verso la legalizzazione dell’eutanasia: «Per la prima volta dice a Le Monde il presidente dell’Associazione per il diritto a morire con dignità, Jean-Luc Romero -, la proposta è stata davvero ufficializzata da parte di un candidato alla Presidenza».
Nel caso di vittoria di Hollande, e in quello che la proposta diventi legge, in materia di eutanasia la Francia passerebbe dall’attuale regime dell’«aiuto passivo» a quello dell’«aiuto attivo». La legge in vigore risale al 2005 e porta il nome di Jean Leonetti, cardiologo, sindaco di Antibes, deputato di destra ed esperto di questi temi per l’Ump, il partito di Nicolas Sarkozy, benché attualmente, per i soliti giri dell’oca politici, si occupi di tutt’altro come ministro per gli Affari europei. La legge Leonetti ha introdotto in Francia il principio del «lasciar morire»: si rifiuta l’accanimento terapeutico su un paziente senza speranza cui, dopo l’interruzione delle cure, ci si limita a somministrare dei sedativi. La proposta socialista introdurrebbe invece il principio dell’«aiuto attivo» sul malato, attraverso appunto un gesto del medico, come un’iniezione letale, che lo porti a spegnersi rapidamente e senza dolore. Pratica che è già stata legalizzata in Olanda, Belgio e Lussemburgo.
Secondo i socialisti, la legge Leonetti è «ipocrita» e l’opinione pubblica «matura» per una svolta. In effetti, un recente sondaggio ha dato una risposta netta. Alla domanda se la legge debba autorizzare i medici a mettere fine senza sofferenze alla vita dei malati incurabili che l’abbiano chiesto, il 49% degli intervistati ha risposto «sì, assolutamente» e il 45 «sì, in certi casi». Totale: 94% di favorevoli, in crescita rispetto all’88 che, nel 2001, diede la stessa risposta alla stessa domanda.
La proposta è interessante anche politicamente, perché porta nella campagna elettorale i temi etici, finora rimasti in ombra, anzi quasi ignorati, di fronte all’emergenza economica. Dieci anni fa, Lionel Jospin, ultimo premier socialista (in coabitazione con Jacques Chirac) e candidato battuto già al primo turno alle presidenziali, rifiutò di inserire l’eutanasia nel suo programma. Curiosamente, una delle vicende che hanno appassionato e diviso l’opinione pubblica è stata proprio quella di sua madre, Mireille, attivista dell’Associazione di monsieur Romero, e che finì per suicidarsi. Già nel 2009 i socialisti avevano proposto una legge all’Assemblée nationale, in seguito respinta. Il firmatario era Manuel Valls, poi candidato alle primarie contro Hollande e oggi suo portavoce.
Però «si tratta di riconoscere un diritto, non d’imporre una pratica sfuma Marisol Touraine, responsabile delle questioni sociali nella squadra di Hollande -. Ciascuno, secondo le sue convinzioni, potrà avvalersene oppure no. Quelli che lo faranno saranno probabilmente estremamente minoritari». E bisognerà pure prevedere la possibilità dell’obiezione di coscienza per i medici, come succede per l’aborto. Anche per questo, la definizione concreta di modalità e limiti dell’eutanasia alla francese è rimandata a dopo le elezioni.

sabato 11 febbraio 2012

Sono 3.500 i pazienti in stato vegetativo.

Corriere della Sera 10.2.12
Sono 3.500 i pazienti in stato vegetativo. Più aiuti dalle donne
Nutriti in modo artificiale 3 su 10
di Margherita De Bac
ROMA — Trentotto anni. Da 38 anni chiuso in un sonno profondo e irreversibile. Accudito in casa dalla mamma in un paesino della Calabria. Triste primato italiano e forse mondiale. Un uomo che dopo un incidente avvenuto nell'infanzia non ha più recuperato contatti e percezione dell'ambiente. È lì, come tanti altri, curato dall'amore materno. Come lo è stata Eluana Englaro, morta il 9 febbraio di tre anni fa. Dalla sua storia lo stimolo a istituire, non senza polemiche, una Giornata nazionale di riflessione. «Ci siamo stupiti anche noi di trovare un caso così antico»: non nasconde la sorpresa di ricercatrice Matilde Leonardi, neurologa dell'Istituto Besta, coordinatrice di un progetto avviato due anni fa dal ministero della Salute per scoprire il pianeta delle persone in stato vegetativo e di minima coscienza, due fasi dei disturbi successivi al coma. «Non parliamo di morti viventi, ma di vivi» chiarisce Adriano Pessina, docente di bioetica alla Cattolica.
I dati scientifici sono stati presentati ieri dal ministro della Salute Renato Balduzzi, impegnato nell'ambito dei limiti di bilancio «a dare la priorità ai più fragili, ai non autosufficienti che non saranno abbandonati». Un appuntamento disertato da 36 associazioni che rappresentano i familiari dei malati: «Chi siamo, quanti siamo e dove siamo, noi lo sappiamo bene da tempo — è scritto in un loro comunicato —. Quello che avremmo voluto sapere è cosa fare per il futuro. Visto che si annunciano anche numerose novità scientifiche». «È necessario sostenere le famiglie — dice Paolo Maria Rossini, neurologo della Cattolica di Roma e collaboratore del San Raffaele di Cassino — e approfondire la ricerca perché in queste persone il cervello percepisce e si esprime in modo diverso: dobbiamo riuscire a decodificare questi input per capire così i primi segnali di un possibile risveglio. Ma in Italia assistenza e ricerca sono all'avanguardia». Quella di ieri è solo la prima tappa di un percorso di mappatura avviato dall'ex sottosegretario Eugenia Roccella con l'obiettivo di scoprire come sopravvivono malati e famiglie. E indagare su come, a parità di patologia, può cambiare il «benessere». La condizione di questi malati è rivelata da diverse sfumature che non dipendono solo dalla severità dei sintomi e dalle «capacità residue», ma soprattutto dai fattori esterni: ore di assistenza, alimentazione, coinvolgimento e atteggiamento culturale degli operatori socio sanitari. Ecco perché il progetto parla di «Funzionamento e disabilità».
Non esistono studi così dettagliati al mondo, i risultati saranno pubblicati e approfonditi. Di certo c'è che in stato vegetativo oggi ci siano almeno 3 mila-3.500 persone. Intorno alle quali si sviluppano comportamenti diversi. La maggior parte delle donne riportano a casa il compagno, gli uomini quasi mai. Tutti i genitori riportano a casa i figli. Ma sono pochissimi i figli che accolgono con sé il genitore. Preferiscono lasciarlo in istituto. Si pensava che in linea con la letteratura internazionale la sopravvivenza media fosse 15 anni. Invece sono stati contati molti casi in cui questa è superiore a 20 anni.
La raccolta dei dati abbraccia il periodo marzo 2009-marzo 2010: un campione di 602 pazienti (566 adulti e 36 bambini) in 78 centri italiani, oltre 75 associazioni. Il 30% dei pazienti vengono alimentati e idratati anche in modo artificiale, quasi tutti (98%) sono in grado di respirare autonomamente, eppure vengono aiutati dal ventilatore automatico, mediamente prendono 4 farmaci al giorno. Secondo lo studio «tutte le persone con disordini della coscienza hanno grave disabilità, basso livello di funzionamento e altissimo bisogno di facilitazioni ambientali». Significa che dovrebbero essere assistite meglio. Poi l'analisi dei familiari. Età media 52 anni, 8 su 10 donne, la metà lavorano, oltre la metà dedicano tre ore al giorno all'assistenza, con notevoli ripercussioni sulla vita relazionale: niente amici e hobby, unico svago il cinema. In generale i parenti più stretti mantengono un livello d'ansia molto alto, che il tempo non riesce a stemperare. E sono molti di più di quanti si prevedesse i malati curati a casa e senza il sostegno di cure domiciliari. Cittadini dimenticati che le segnalazioni di medici di famiglia e piccoli istituti di suore coinvolti nella ricerca ci hanno in un certo senso «restituito».

mercoledì 7 dicembre 2011

Liberi di vivere e morire. Io “tifo per la libertà

Il Fatto 2.12.11
A favore
Liberi di vivere e morire. Io “tifo per la libertà
Paolo Flores d’Arcais

Se la tua vita non appartiene a te, amico lettore, ne sarà padrone un altro essere umano, finito e fallibile non meno di te. Ti sembra accettabile? Su questa terra infatti si agitano e scontrano solo e sempre volontà umane, una volontà anonima e superiore che si imponga a tutti, oggettivamente o intersoggettivamente, è introvabile. Chi ciancia della volontà di Dio è blasfemo (come può pensare di conoscere ciò che è incommensurabile con la piccolezza umana?). In realtà attribuisce a Dio la propria volontà, lucrando sulla circostanza che nessun Dio potrà querelarlo per diffamazione. Il Dio cattolico di Küng considera lecita l’eutanasia, il Dio altrettanto cattolico di Ratzinger l’equipara all’omicidio. Perché in realtà si tratta dell’opinione di Küng e dell’opinione di Ratzinger, umanissime entrambe e non più autorevoli della tua. Perciò, rispetto alla tua vita, o il padrone sei tu o il padrone è un altro “homo sapiens”, eguale a te in dignità (così Kant, e ogni democrazia anche minima), vescovo, primario ospedaliero, pater familias o altra “autorità” che sia.
MA POICHÉ siamo tutti eguali, deve anche valere il reciproco: se il padrone della tua vita può essere qualcun altro, tu potrai a tua volta decidere della sua vita contro la sua volontà. Se c’è davvero qualcuno che accetterebbe si faccia avanti. Ma non ce n’è nessuno. Nella realtà esistono solo “homo sapiens” finiti, fallibili e peccatori come te e come me, amico lettore, che pretendono di imporre alle altrui vite la loro personale volontà, ma mai accetterebbero di essere soggetti ad analoga mostruosa prevaricazione.
PERCIÒ, senza perifrasi: il suicidio assistito è un diritto? Sì. Fa tutt’uno col diritto alla vita e alla libertà, inscindibili. La “Vita” che qualcuno vuole “sacra” è infatti la vita umana, non il “bios” in generale (ogni volta che prendiamo un antibiotico, come dice la parola, facciamo strage di “vita”), e la vita umana è tale perché singolare e irripetibile, cioè assolutamente MIA. Se non più mia, ma a disposizione di volontà altrui, è già degradata a cosa: “Instrumentum vocale”, dicevano giustamente gli antichi.
Per Lucio Magri la vita era ormai solo tortura. Per Mario Monicelli la vita era ormai solo tortura. Per porvi fine, Lucio Magri ha dovuto andare in esilio e Mario Monicelli gettarsi dal quinto piano. La legge italiana vieta infatti una fine che non aggiunga dolore al dolore già insopportabile: su chi ti aiuta incombe una condanna fino a 12 anni di carcere. E per “assistenza” al suicidio si intende anche quella semplicemente morale! Due casi raccapriccianti di anni recenti: un coniuge accompagna l’altro nell’ultimo viaggio (solo questo: la vicinanza) e deve patteggiare una pena di oltre due anni, altrimenti la sentenza sarebbe stata assai più pesante. Una signora di 54 anni, affetta da paralisi progressiva, decide di andare da sola in Svizzera, proprio per non coinvolgere la figlia. Che tuttavia le prenota il taxi per disabili che la porterà oltre frontiera. È bastato per l’incriminazione: ha dovuto patteggiare un anno e mezzo di carcere.
MA QUANDO si vuole porre fine alla tortura che ormai ha saturato la propria esistenza, si ha sempre bisogno di assistenza: il pentobarbital sodium non si trova dal droghiere, solo un medico lo può procurare. L’alternativa è appunto l’esilio o lo strazio estremo dell’angoscia aggiuntiva: gettarsi sotto un treno o nel vuoto o nella morte per acqua. Le anime “virili” che si sono concessi perfino l’ironia (“se uno vuol farla finita ha mille modi, senza piagnistei di ‘aiuto’”: i blog ne sono pieni), hanno davvero oltrepassato la soglia del vomitevole.
Altre obiezioni grondano comunque ipocrisia o illogicità. “Se vedi uno che si sta impiccando che fai, rispetti la sua libertà o intanto lo salvi?”. Ovvio che lo salvo, poiché potrebbe essere un momento di sconforto. Ma i casi di cui parliamo sono sempre e solo riferiti a scelte lungamente maturate, ponderate, ribadite. Lucidamente e incrollabilmente definitive (a maggior ragione se chi vuole morire subito è un malato terminale comunque condannato a morte). Da rispettare, dunque, se a una persona si vuole bene davvero: anche se la fine della sua tortura ci procura il dolore della sua assenza per sempre.
ALTRETTANTO pretestuosa l’accusa che il medico verrebbe costretto a praticare l’eutanasia a chiunque la chieda. Nessuno ha mai avanzato questa richiesta, ma solo il diritto - per il medico che questo aiuto vuole dare - di non rischiare il carcere come un criminale. Spiace perciò particolarmente che Ignazio Marino, clinico e cittadino dai molti meriti, abbia dichiarato: “Non dividiamoci tra ‘pro vita’ e ‘pro morte’, il tifo da stadio non è giustificabile di fronte alla fragilità umana”.
A parte la scurrilità del “tifo da stadio”: essere “pro choice” non è essere “pro morte” ma per la libertà di ciascuno di decidere liberamente, mentre troppi “pro vita” sono semplicemente “pro tortura”, poiché pretendono di imporla a chi invece la vive come peggiore della morte. Tu hai tutto il diritto di dire che mai e poi mai ricorrerai al suicidio assistito, che la sola idea ti fa orrore. Ma che diritto hai di imporre questo rifiuto a me, cui fa più orrore la tortura, visto che siamo cittadini eguali in dignità e libertà?

martedì 15 novembre 2011

"Bebè in provetta, è colpo di mano" nuovo stop alla diagnosi preimpianto

La Repubblica 13.11.11
"Bebè in provetta, è colpo di mano" nuovo stop alla diagnosi preimpianto
Roccella: era già vietata. I ginecologi: falso, la fanno in tutta Italia
Le nuove linee guida firmate dal sottosegretario in extremis. I radicali: norme illegittime
di Caterina Pasolini

ROMA - «Prima di crollare questo governo cerca con un colpo di mano di vietare la diagnosi preimpianto sugli embrioni. In barba alla legge, alle sentenze del Tar e della Consulta». È Filomena Gallo, avvocato, presidente dell´associazione Luca Coscioni, da anni in prima linea in difesa di coppie con malattie genetiche, a far divampare la polemica in un pomeriggio in cui l´attenzione è tutta rivolta alle ultime ore di Berlusconi premier.
Secondo l´esponente radicale le nuove linee guida sulla fecondazione assistita, inviate ieri al Consiglio superiore di sanità, prevedono il divieto alla diagnosi preimpianto. Non tarda la risposta del sottosegretario alla Salute Roccella: «La diagnosi preimpianto è vietata dalla legge 40 sulla fecondazione assistita, non c´è niente di nuovo».
Una frase che tra stupore e sdegno provoca reazioni a catena. Tra medici del calibro di Carlo Flamigni e avvocati che citano sentenze contrarie alle parole del sottosegretario, raccontano dei centri dove questi esami si fanno abitualmente, circa cento l´anno, mentre in Toscana si studia una convenzione. Perché chi ha problemi di salute non debba pagare 3mila euro a diagnosi oltre alla fecondazione assistita.
«Abbiamo appreso che le nuove linee guida della legge consegnate al Consiglio superiore di sanità sono illegittime sul piano scientifico e giuridico. Vieterebbero infatti le indagini cliniche sull´embrione restringendo l´applicazione di tecniche consolidate». Non ha dubbi l´avvocato Gallo, secondo lei la diagnosi è consentita proprio dagli articoli 13 comma 2 e 14 comma 5 della legge 40. «Prevedono che la coppia possa chiedere di conoscere lo stato di salute dell´embrione e poi ci sono 10 sentenze che confermano questa interpretazione».
Sulla stessa linea l´avvocato Costantini, che con le associazioni Hera e Cittadinanza attiva ha curato e vinto i ricorsi contro il divieto alla diagnosi. «Con la sentenza del Tar del Lazio del 2008 e con quella della Consulta del 2009 è stato possibile aumentare il numero degli embrioni prodotti aprendo la strada alla diagnosi pre impianto che altrimenti non avrebbe avuto alcun valore medico».
Il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella non ci sta. «Nelle nuove linee guida io ho solo accolto le direttive europee sulla tracciabilità delle cellule e dei tessuti, sul funzionamento dei centri per la fecondazione assistita. Di diagnosi non mi sono occupata. È già vietata dalla legge 40 che impedisce qualunque intervento che non sia indirizzato al bene dell´embrione. E le sentenze del Tar o della Consulta non cambiano la legge».
Contestano le certezze del sottosegretario medici come Carlo Flamigni, pioniere della fecondazione assistita, ed Ettore Cittadini, membro della Consiglio superiore di sanità che dovrà valutare le nuove linee guida: «Nella legge 40 non c´è un impedimento preciso alla diagnosi. Tanto che nel mio centro a Palermo lo facciamo alle coppie con talassemia». Lo stesso succede a Bologna, nella clinica diretta da Andrea Borini. «Mai avuto problemi, Nessuna denuncia. Quello che mi stupisce casomai è che nessuno protesti contro uno Stato che non passa questi esami. Anche perché chi vi si sottopone non lo fa per avere un figlio biondo o con gli occhi blu, ma per non trasmettere gravi malattie».

martedì 27 settembre 2011

"Ogm, embrioni e staminali sono temi chiave. Ma Chiesa e politici li stravolgono"

La Repubblica 22.9.11
Le critiche di Redi, accademico dei Lincei, nel suo libro
"La biologia è democrazia ma in Italia la ignorano tutti"
"Ogm, embrioni e staminali sono temi chiave. Ma Chiesa e politici li stravolgono"
di Luca Fraioli

Non risparmia nessuno: politici e filosofi, gerarchie vaticane e giornalisti. «Sono indignato con chi ha le redini del nostro Paese, i politici e i grandi (si fa per dire) pensatori. Non mostrano la benché minima umiltà nel chiedere di sapere, nell´informarsi sulle conoscenze biologiche necessarie per condurre una società laica e giusta». Carlo Alberto Redi, accademico dei Lincei e genetista dell´Università di Pavia si autodefinisce "biologo furioso". Che poi è titolo del saggio appena mandato in libreria per Sironi Editore (pagg. 224, euro 18). «Ho cercato di fare chiarezza su alcuni dei temi più controversi del momento: dalla tutela degli embrioni alla vita artificiale, dalle cellule staminali agli Ogm. Ma nei capitoli finali mi sono lasciato andare anche a qualche divagazione più "leggera"». Imperdibili i capitoli sull´origine delle mestruazioni e sul perché è bene convincere la propria ragazza a lasciarsi baciare almeno per sei mesi prima di troncare la relazione.
Ma torniamo all´indignazione. Perché è furioso, professor Redi?
«La nostra è una società del sapere e della conoscenza: nell´Ottocento era la chimica, nel Novecento la fisica, ora sono le scienze della vita. Eppure l´attenzione per questi temi è pari a zero. I politici si guardano bene dal chiedere un parere alle istituzioni scientifiche quando c´è da affrontare il fine vita, l´uso delle staminali o gli Ogm. Straparlano di argomenti che non conoscono, per cui non fanno nulla. Con un paradosso: si formano giovani scienziati e poi li si regala agli altri paesi che grazie a loro si arricchiscono di conoscenze».
Tuttavia negli anni ´70 e ´80 l´Italia ha partecipato a grandi progetti: dal Cern di Ginevra ai Laboratori del Gran Sasso. I fisici erano più bravi di voi biologi a convincere i politici, o i democristiani erano più attenti alla scienza di quanto lo siano destra e sinistra oggi?
«Propendo per la seconda spiegazione: in quegli anni democristiani sono state fatte cose importantissime, oggi si investe in ricerca meno della Tunisia. E così si mette a rischio la democrazia».
La democrazia?
«Certo. Negli anni Ottanta i cittadini potevano anche ignorare la fisica delle particelle, potevano non sapere cosa fosse il bosone di Higgs. Ora invece si devono conoscere i risultati ottenuti dai biologi, perché riguardano tutti. Riguardano il modo in cui verranno alla luce i nostri figli, ciò che mangeremo, come moriremo. Ed ecco il rischio: creare un mondo dove solo una piccola parte dei cittadini, informata e dotata di carta di credito, potrà accedere ai servizi biologici. E questa non è democrazia».
Il biologo furioso se la prende anche con la Chiesa.
«Le posizioni delle gerarchie ecclesiastiche su temi come le staminali e l´uso dell´embrione sono contro ogni evidenza scientifica. E pensare che fino a 50 anni fa dell´embrione non importava a nessuno. Ora lo considerano una persona. E chiedono di non toccare i 50mila embrioni conservati nei freezer, "condannandoli" così a morte certa. Mentre invece potrebbero essere impiegati per aiutare la vita».
Passiamo ai filosofi...
«Abbiamo un grande bisogno di filosofi...».
Però?
«Però sono ancora fermi alla fisica, alla mela di Newton che cade dall´albero. Pochi studiano la biologia. Habermas parla dei pericoli della "genetica liberale" e chiede di chiudere i laboratori. Lo vada a dire a chi soffre di patologie gravi che possono essere curate solo grazie alle biotecnologie. E poi in biologia esistono genetiche mendeliane, molecolari, quantitative... ma liberali no».
Possibile sia solo colpa degli altri? Che in tutto questo i biologi italiani non abbiano alcuna responsabilità?
«Sono pronto a riconoscere che è anche colpa nostra. Non possiamo più chiuderci nei laboratori, dobbiamo andare in strada e spiegare alla gente perché negli esperimenti abbiamo bisogno dei topolini. E non dobbiamo "pompare" ogni risultato delle ricerche pur di avere fondi. L´effetto collaterale è che si finisce per spaventare i cittadini sulle possibili applicazioni».
Ma perché il nostro Paese ha così paura della scienza?
«La risposta è scritta sul palazzo della Civiltà e del Lavoro all´Eur: siamo un popolo di santi, poeti, artisti, navigatori... solo in ultimo di scienziati. È il retaggio neoidealista che privilegiava la cultura umanista. Ma oggi bisogna sapere di scienza per poter decidere su argomenti come il nucleare, gli Ogm, la fecondazione in vitro. È giusto combattere le grandi aziende che vogliono il monopolio, ma non le conquiste scientifiche come gli Ogm che potrebbero servire per combattere la fame».
Nell´introduzione invita i lettori a stracciare i giornali... Che ne facciamo di questa intervista?
«Naturalmente è una provocazione contro quei media che con i loro titoli a effetto distorcono il senso della ricerca scientifica. Ho visto con i miei occhi ministri italiani prendere decisioni anche molto delicate in base alla rassegna stampa. In Inghilterra Cameron decide dopo aver sentito il parere della Royal Society».

domenica 4 settembre 2011

Bellocchio: presto il film ispirato da Eluana

Corriere della Sera 3.9.11
Bellocchio: presto il film ispirato da Eluana
di Chiara Maffioletti

MILANO — «Stavo lavorando da mesi all'idea, avevo scritto il soggetto, poi la sceneggiatura...». Ora, finalmente, c'è anche il produttore. Marco Bellocchio realizzerà Bella addormentata, il suo prossimo film che si sviluppa dal dramma di Eluana Englaro. Ospite della serata «La vita: istruzioni per l'uso», alla Festa Democratica Nazionale di Pesaro, il regista ha confermato: «Fortunatamente ho trovato un produttore che, in un tempo in cui trionfano commedie, e questo è chiaramente un dramma, mi ha incoraggiato ad andare avanti. Speriamo di poterlo realizzare».
«C'è un buon accordo con Cattleya, le riprese dovrebbero iniziare a inizio anno», ribadisce Bellocchio, che mesi fa aveva confessato di aver pensato di rinunciare al progetto perché troppo difficile. La vicenda non è la storia di Eluana — la ragazza che tutti abbiamo imparato a conoscere per lo strazio di quei suoi 17 anni in stato vegetativo e per la determinazione con cui il padre, Beppino, voleva rispettata la volontà della figlia di porre fine alla sua vita — ma parte da lì: «Tutto si svolge nei sei giorni che sono stati l'ultimo atto della vita di Eluana: dal suo arrivo nella clinica di Udine, il 3 febbraio 2009, alla sua morte, il 9. La fine di quel dramma mi colpì molto e divise l'Italia. Essendo la vicenda così complessa, alla fine questo tempo di elaborazione è servito».
Non è un film di denuncia, precisa il regista (che il 9 riceverà il Leone d'oro alla carriera), «perché il cinema di denuncia è stato bruciato dalla tv, da Internet. Per temi di questa grandezza c'è bisogno di riflessione. Nel film ci sono personaggi di fantasia. In quei sei giorni avvengono storie, in varie regioni d'Italia, collegate emozionalmente al caso Englaro che era per tutti una presenza costante in quel periodo, attraverso i media. Ci sarà un'elaborazione di quel materiale».
Pur partendo solo dalla storia di Eluana, il regista ha sentito il bisogno, mesi fa, di contattare il padre della ragazza: «Abbiamo parlato più volte. È un uomo per cui provo un'enorme stima, che ha portato avanti una battaglia di legalità ed è riuscito nella sua impresa. Nessuno lo dimenticherà. Non è un personaggio del film, nessun attore interpreta il suo ruolo, e ho voluto esporgli questa differenza. C'è una realtà, una cronaca: io prendo quello che si è visto e lo mescolo con immagini inventate». Si parlerà della valenza politica del film... «Politicizzare è sbagliato. Ci saranno i soliti intolleranti ottusi che utilizzeranno il film per portare avanti le loro tesi, lo fecero già con Buongiorno, notte. Ma il film non è questo». Ma lei ha un punto di vista netto sul tema... «Parto da un punto di vista laico, ma ci sono personaggi di diversi schieramenti, posizioni contrapposte, c'è una dialettica. Il film non è una volata verso una tesi».

lunedì 22 agosto 2011

Riparliamo di legge 40. Fecondazione assistita, rompiamo il silenzio

l’Unità 2.7.11
Riparliamo di legge 40. Fecondazione assistita, rompiamo il silenzio
di Maurizio Mori

La legge 40/2004 e il fallimento del successivo referendum hanno cancellato dalla rubrica culturale italiana il tema della fecondazione assistita. Prima al riguardo c’era curiosità e interesse per le novità in questo ambito e le nuove opportunità venivano considerate e discusse. Da dopo il referendum non se ne parla più. Si è come dimenticato che la fecondazione assistita allarga i confini della riproduzione e rende possibile nuove pratiche e opportunità, come quella di rendere evitabili molte malattie o di avere gravidanze post-menopausa o anche di dare figli agli omosessuali.
A tale proposito, è facile prevedere che la recente legalizzazione dei matrimoni omosessuali nello Stato di New York avrà effetti sulla vita sociale di tutto il mondo occidentale compreso quello dell’ammissione di nuove forme di riproduzione assistita. È chiaro infatti che gli omosessuali vogliono avere figli grazie alle nuove tecniche riproduttive.
In un mondo che cambia, discute, evolve, anche l’Italia dovrà prima o poi rivedere radicalmente la legge 40/2004 che ha regolato in modo restrittivo la fecondazione assistita, provocando disastri gravissimi. Molte coppie hanno rinunciato ad avere figli, mentre altre per averli sono dovute andare all’estero con disagi notevoli e talvolta anche con guai seri. Ma gli effetti deleteri della legge 40 non riguardano solo il piano pratico, quello che tocca la vita della gente direttamente, ma si estendono anche e forse soprattutto sul piano teorico e filosofico, che determina il quadro delle nostre scelte di fondo.
È urgente riprendere il discorso culturale sulla fecondazione assistita per cercare di sanare i disastri inflitti dalla legge 40 e dalle altre vicende. Oramai sul piano pratico
la legge è già stata in gran parte smantellata dalla corte Costituzionale e bisogna riconoscere alla Magistratura di fare molto per l’ammodernamento del Paese. Qualcos’altro può venire dall’Europa, ma altrettanto importante è il lavoro culturale per rilanciare l’idea che la libertà riproduttiva è un diritto fondamentale della persona e che avere figli è qualcosa che dipende da tale diritto. Questo può poi essere integrato e sostenuto dal diritto alla salute in alcuni casi specifici ma la scelta di ricorrere alla fecondazione assistita non può diventare un mero capitolo dell’assistenza sanitaria. Oggi in Italia per avere un figlio grazie all’assistenza medica un cittadino deve andare prima dal giudice e poi, se mai, dall’operatore sanitario. Bisogna che l’opzione di fecondazione assistita sia riconosciuta come libertà di scelta garantita da un diritto fondamentale del cittadino a prescindere dall’orientamento sessuale.