martedì 3 maggio 2011

Testamento biologico

l’Unità 26.4.11
Testamento biologico
I furbetti delle parole: giocare con i termini per negare nuovi diritti
Eterologo, infertilità, embrione: sono tante le espressioni scientifiche usate a sproposito nella discussione bioetica. Così come idratare un morente non equivale a somministrare acqua e cibo. Ora che si torna a parlare di biotestamento prepariamoci ad altri strafalcioni. Voluti
Carlo Flamigni

C’è chi afferma (scherzando?) che la bioetica, con le mosche e i professori universitari, è una prova indiretta dell’inesistenza di Dio, un ente supremo che non potrebbe perdere il suo tempo nella creazione di cose, persone ed enti inutili. La cosa non mi convince per niente: in realtà la bioetica (che è, tra le altre cose, un contenitore dei diritti e delle libertà dei cittadini) è utilissima a chi vuole legiferare, almeno nel nostro Paese, tenendo conto unicamente della visione etica del mondo che ci viene ammannita dalla Chiesa Cattolica, in spregio alla laicità dello Stato e ad altre simili sciocchezze. Come i nostri parlamentari la maggior parte dei quali non crede nemmeno nel radicchio vengano ripagati per questo vergognoso comportamento lo sappiamo tutti, la sopravvivenza della Chiesa cattolica nel nostro Paese è almeno in parte legata alla possibilità di gestire un notevole numero di voti e di poter garantire cose di non poco conto come la supremazia e il potere politico. Deve trattarsi di un patto realmente scellerato, visto il supporto che eminenti esponenti vaticani hanno recentemente fornito alle case di tolleranza private. Per poter garantire questo contributo la Bioetica ha dovuto piegarsi a qualche disonesto compromesso ed è stata così brava che nessuno se ne è accorto.
Prima di tutto ha scelto di essere “normativa”, tradendo così la sua fondamentale natura, che è quella di essere “descrittiva”. Pensate per un momento (di più non è conveniente) al Comitato Nazionale di Bioetica e ai suoi documenti: secondo logica e buon senso dovrebbe esaminare i problemi etici proposti dalla ricerca scientifica in campo biologico e dalla medicina per chiarirli a tutti (cittadini e parlamentari) e per consentire alla politica di proporre mediazioni rispettose di tutte le posizioni morali compatibili con i principi e i diritti di un Paese laico e democratico, come fanno tutti i Paesi civili; invece si esprime a maggioranza (sempre, rigorosamente cattolica) e toglie le castagne dal fuoco ai nostri legislatori indicando a tutti, come unica soluzione dei problemi, la via più gradita oltre Tevere. Naturalmente deve ricorrere, per poter mentire senza essere contraddetta, ad una sorta di antilingua, che si sovrappone alla terminologia medica e scientifica e la sostituisce, un’operazione che mi sembra opportuno spiegare.
Biologia e medicina, almeno per gran parte delle loro attività e conoscenze, sono discipline empiriche, non hanno niente a che fare con le cosiddette “verità scientifiche”. La medicina, dal canto suo, vive soprattutto di consensi, cioè dei pareri formulati dai suoi esperti, ai quali è affidata anche la facoltà di formulare le definizioni. I consensi sono verità parziali e temporanee, spesso destinate ad essere sostituite in tempi brevi, ma finche esistono sono la nostra unica verità, chi non l’accetta sceglie di vivere in un mondo strampalato e vagamente disonesto. Solo alcuni esempi, per chiarire meglio questo concetto.
Eterologo in biologia significa «frutto della relazione tra soggetti di due specie diverse».
Se io avessi un rapporto imprudente con una ornitorinca, il termine sarebbe appropriato; applicato a donazioni tra soggetti appartenenti alla stessa specie, no. Perché forzare il significato del termine? Semplice, per sovrapporre al concetto di donazione di gameti un elemento bestiale; poi, l’esemplare ignoranza dei nostri parlamentari fa il resto.
Ancora: Infertilità non significa sterilità ma incapacità di produrre una progenie sana e capace di sopravvivere. La parola è stata artatamente inserita nella legge 40 per creare confusione. La gravidanza inizia quando è terminato l’impianto dell’embrione (definizione dell’Oms). Il termine embrione non significa niente, va precisato, altrimenti non si capisce se il riferimento riguarda oociti attivati o penetrati, ootidi, zigoti, morule, blastocisti, gastrule e così via. La pillola del giorno dopo non è “abortigena”, lo sappiamo con certezza da almeno due anni, cioè da quando il Karolinska Institutet di Stoccolma ha dimostrato, con una sperimentazione diretta, che il levonorgestrel non impedisce gli impianti in utero. Ne consegue che non c’è più spazio per futili argomentazioni per giustificare il “principio di precauzione”, ma malgrado ciò i farmacisti chiedono di poter fare obiezione di coscienza, e presto la stessa richiesta verrà dagli ortolani, che sono costretti a vendere il prezzemolo (da cui si ottiene l’apiolo, questo veramente abortigeno).
Ma, mi chiederete, non accade mai che differenti gruppi di studiosi, che magari si sono riuniti ad insaputa gli uni degli altri, abbiano partorito “consensi” contrastanti tra loro? Ebbene sì, anche se molto raramente: ma in questi casi le differenze vengono messe a confronto e analizzate e non si usa più il termine consenso fino a che il problema è stato chiarito. E comunque, alla resa dei conti, il parere che conta è sempre quello dell’Autorità di grado più elevato che è stata chiamata in causa, quasi sempre l’Oms, altrettanto spesso le Società scientifiche competenti.
E veniamo ai problemi della fine della vita e del testamento biologico,oggi particolarmente importanti per via della vergognosa proposta di legge che il Parlamento intende approvare in tempi brevi. Sappiamo tutti che la nostra Costituzione ci consente di rifiutare le cure e che questo rifiuto non può essere disatteso. Cosa si inventa allora il Magistero cattolico per scipparci anche questo diritto? Sceglie una nuova e personale definizione e dichiara che il cosiddetto sostentamento ordinario di base, la nutrizione e l’alimentazione artificiali, non rappresentano né un atto medico né un possibile accanimento terapeutico, e che interromperle configura, da un punto di vista umano e simbolico, un crudele atto di abbandono del malato, illecito sia moralmente che giuridicamente. È chiaro che se accettassimo questa “originale” definizione, l’alimentazione artificiale non potrebbe far parte delle “cure” che la Costituzione ci consente di rifiutare e dovremmo accettare la possibilità che qualche tipo di “sollecitudine affettuosa” venisse ad inquinare la nostra povera dignità di morenti.
Poiché non sono mai stato molto impressionato dalla competenza scientifica dei teologi (non molto superiore a quella dei parlamentari) sono andato a cercare la definizione che ha dato, del “sostentamento ordinario” la Società italiana di nutrizione artificiale. Eccola: «La miscela nutrizionale è da ritenere un preparato farmaceutico che deve essere richiesto con una ricetta medica e deve essere considerato una preparazione galenica magistrale... Si tratta comunque di un trattamento medico a tutti gli effetti che prevede il consenso informato del malato o del suo rappresentante e che deve essere considerato un trattamento sostitutivo vicariante». Potete andare tranquillamente a cercare nei documenti delle Società scientifiche degli altri Paesi europei, la definizione è sempre la stessa. Non si tratta dunque di “cibo e acqua”, come scrivono i bioeticisti cattolici e idratare un morente non equivale a «procurare acqua e cibo alle persone che non sono in grado di procurarselo in modo autonomo». Questo linguaggio così evocativo e emotivamente coinvolgente del quale molti documenti cattolici sono intessuti è finalizzato a sostenere la tesi del forte significato umano, simbolico e sociale di sollecitudine per l’altro rivestito dalla somministrazione artificiale di “pane e acqua”. Mi dicono che si tratta di concezioni etiche che sono divenute parte della coscienza giuridica complessiva, capisaldi pregiuridici che non possono essere ignorati dal legislatore laico. A mio avviso è un tentativo di giustificare l’ennesima scelta di uno stato “laico” di privilegiare principi sostenuti da una specifica fede religiosa. Insomma, mentre io mi batto per il “diritto di avere diritti”, c’è chi si impegna perché su questo diritto io non possa contare, nemmeno in punto di morte.

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